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Passare dal partito per cambiare l'Italia. E dalle primarie "aperte". Ancora una volta, come un po' tutta questa storia, che in definitiva è fatta di eterni ritorni, Renzi vuol candidarsi alla guida del Paese e per far questo è disposto, anche mal volentieri, a prendersi la briga di tirare le fila in casa dei democratici. Semmai andando a ricolmare quel confine scavato nei mesi scorsi da quel "noi", i qiovani del "fate posto", a far da contraltare a quel "loro", la vecchia classe dirigente da ringraziare e immediatamente dopo liquidare. Da qui in poi tutto dovrà passare per un'investitura popolare, più ampia possibile. Il perché sta nelle cose: un conto é essere investiti da tre, magari quattro milioni di cittadini pronti a mettersi in coda fuori dai seggi per consegnarti il mandato; un altro da logiche di partito, anzi di corrente. Da una parte il mandato popolare, dall'altra la cooptazione vecchio stile. A cavallo tra l'estate e l'autunno 2012, quando c'era da intavolare le regole per le primarie, Renzi chiese di forzare il dettame normativo. Allora l'Assemblea nazionale del Pd derogò alla norma che avrebbe dovuto investire solo Bersani. A Renzi fu concesso il lasciapassare; la storia poi la conosciamo. Oggi, e qui forse c'é la sensazione di una certa fragilità delle larghe intese, Renzi e i renziani, chiedono l'esatto opposto, per prendersi la segreteria e, a stretto giro dall'investitura, cominciare a minare, con qualche picconata assestata al punto giusto, il cammino di un governo...